É già successo

Nel corso degli anni, confrontandomi con innumerevoli artisti emergenti, ho notato come il concetto di successo sia spesso vittima di una distorsione prospettica. In un’epoca artistica dominata dai social media e dai talent show televisivi, la parola “successo” viene sistematicamente confusa con “fama” – un’associazione che ha radici profonde nella cultura popolare. Non è un caso che uno dei talent show più celebri prendesse nome proprio dalla serie “Fame – Saranno Famosi”.

Questa narrativa ha plasmato profondamente la percezione del successo (sia personale che professionale/musicale), creando un’equazione apparentemente inscindibile: per vivere di musica, devi essere famoso. Un paradigma che ha influenzato persino l’industria discografica, che oggi spesso inverte il processo tradizionale: invece di scoprire e coltivare nuovi talenti, si cercano personaggi già noti, magari in altri contesti (ad esempio youtuber o tiktoker), per trasformarli in musicisti. Questo approccio non solo abbassa il livello qualitativo della proposta musicale, ma diffonde anche una mentalità del “tutto subito e senza sforzi”, alimentando un meccanismo consumista usa e getta della musica al quale solo pochi riescono a sopravvivere e consolidare una posizione nel tempo.

Ma cos’è veramente il successo nel mondo della musica?

Il successo è spesso visto come una scala, con infiniti gradini intermedi che ci portano al raggiungimento di un obiettivo. Da questo punto di vista, già portare a termine un progetto – che sia una singola canzone o un album completo – rappresenta un traguardo significativo. Pensateci: quante persone iniziano progetti musicali senza mai concluderli? Quanti si perdono lungo il cammino, magari affidandosi alle persone sbagliate o demotivandosi di fronte alle prime difficoltà alimentate dalla trappola del “successo istantaneo”?

Ogni piccolo traguardo merita di essere celebrato: completare un brano, ricevere il primo feedback positivo, vedere la propria micro-fanbase crescere organicamente, ricevere complimenti sinceri dopo un concerto. Sono tutti segnali di successo autentici che non vanno sottovalutati, gradini di una scala che può portare sempre più in alto. Ho incontrato spesso artisti che, accecati dall’ultimo gradino della scala, non sono disposti a vedere e compiere lo sforzo per affrontare i passi precedenti, magari considerandoli troppo faticosi e umilianti per l’immagine che hanno di sé.

Infine, parliamo di sostenibilità economica. A mio parere, il primo vero gradino del successo, sotto questo punto di vista, è riuscire a rendere il proprio progetto musicale autosufficiente: coprire i costi degli strumenti, delle registrazioni, dei viaggi, della promozione. È un traguardo fondamentale che molti sottovalutano, ma che rappresenta la base solida su cui costruire qualsiasi carriera artistica. Il secondo step, ancora più significativo, è riuscire a vivere della propria musica: poter pagare l’affitto, fare la spesa, condurre una vita dignitosa grazie al proprio lavoro artistico. Questo è già un successo straordinario nel panorama attuale. Tutto ciò che viene dopo – la fama, i grandi palchi, i dischi d’oro – non è il metro di misura del successo personale ma piuttosto l’implementazione della visione imprenditoriale del proprio progetto musicale.

Certo, vivere esclusivamente di musica in Italia rappresenta una sfida considerevole. Il mercato è piccolo e saturo, la competizione è spietata, il pubblico poco educato all’ascolto di musica nuova e alla valorizzazione di realtà locali. Ma forse è proprio qui che dovremmo ripensare il nostro approccio: invece di visualizzare una piramide del successo (o una scala) con un unico posto in cima, dovremmo iniziare ad immaginare e favorire strutture circolari dove ogni artista può trovare il proprio spazio, contribuendo in modo unico al panorama musicale e dove il pubblico si senta più partecipe alla scena musicale.

Il sentiero del successo

Immaginate il vostro percorso artistico come un’escursione in montagna. Davanti a voi si staglia una maestosa vetta, la sua cima avvolta nelle nuvole. Come tanti artisti alle prime armi, il vostro sguardo è catturato solo da quel punto più alto, quasi ipnotizzato dal miraggio del “ce l’ho fatta”.

Iniziate il cammino con entusiasmo, ma presto la realtà della salita si fa sentire. Intorno a voi, altri escursionisti sembrano procedere con maggiore sicurezza: alcuni sfrecciano veloci con il loro equipaggiamento all’ultima moda, altri ostentano medaglie di mille vette già conquistate. Ogni loro passo sicuro alimenta la vostra frustrazione, ogni loro successo sembra rimpicciolire i vostri progressi.

La mappa tra le vostre mani mostra diversi sentieri verso la cima. C’è quello diretto, che promette gloria immediata, e ci sono percorsi più dolci, che serpeggiano attraverso il bosco prevedendo soste e deviazioni. Nel vostro cuore, sapete quale vorreste prendere – la via più rapida, naturalmente. Ma il destino, sotto forma di una stringa degli scarponi che si spezza proprio durante un temporale, ha altri piani.

Questa deviazione forzata verso un sentiero secondario inizialmente vi rode dentro. Ogni passo vi sembra un compromesso, un allontanamento dal sogno. Eppure, proprio quando la frustrazione raggiunge il picco, iniziate a notare qualcosa di diverso. Il sentiero secondario pulsa di vita propria.

In un piccolo rifugio, incontrate chi ha trasformato una pausa in vocazione, preparando tisane per viandanti stanchi. In una radura inondata di sole, un violinista solitario ha fatto della sua sosta un palcoscenico naturale. Poco più in là, attorno a un fuoco, una piccola comunità condivide storie e canzoni, trasformando la montagna in un’arena di connessioni umane.

Quando il violinista vi invita a unirvi alla sua melodia, esitate. Ma qualcosa dentro di voi – forse quella stessa scintilla che vi ha spinto a iniziare questo viaggio – vi spinge a accettare. E così, nota dopo nota, la magia prende forma. Un chitarrista di passaggio aggiunge il suo ritmo, una cantante emerge dall’ombra degli alberi, un percussionista tira fuori il suo djembé dallo zaino. La musica cresce, si espande, diventa più grande della somma delle sue parti.

È in questo momento che la rivelazione vi colpisce: per tutte queste persone che si fermano ad ascoltare, rapite, voi siete già la destinazione. La loro gioia, i loro sorrisi, l’energia che si crea – tutto questo è già successo. Non è un gradino verso il successo, è il successo stesso.

E mentre continuate il vostro cammino verso la cima, portate con voi una nuova consapevolezza. Il violinista del bosco ora suona nella vostra band, la cantante incontrata è diventata la vostra vocal coach, il sound engineer che passava di lì ha creduto nel vostro progetto quando era solo un abbozzo. Ogni incontro ha lasciato un’impronta nella vostra musica, ogni deviazione ha arricchito il vostro suono.

Quando finalmente raggiungete la vetta, realizzate che il vero successo non è stato conquistare la cima, ma aver creato lungo il percorso una comunità che risuona con la vostra musica. Perché il successo, quello autentico, non è un punto di arrivo solitario, ma un viaggio condiviso dove ogni tappa, ogni incontro, ogni apparente deviazione contribuisce a plasmare non solo l’artista che siete diventati, ma anche le vite che avete toccato lungo il cammino.

In questo viaggio verso il successo, emerge però una riflessione fondamentale che troppo spesso viene trascurata: la necessità di distinguere tra il successo professionale e la realizzazione personale. Se il nostro obiettivo ultimo è il raggiungimento di uno stato di benessere e pienezza interiore, dovremmo riconsiderare il peso che diamo a traguardi puramente esterni. La società contemporanea tende a misurare il successo attraverso parametri tangibili – denaro, visibilità, status sociale – ma l’evidenza ci mostra quanto questa correlazione sia ingannevole.

Non è un caso che le nazioni con il più alto PIL pro capite registrino spesso i tassi più elevati di depressione, disturbi mentali e consumo di psicofarmaci. Questo paradosso si manifesta anche a livello individuale: quante star, apparentemente al culmine del successo, hanno pubblicamente condiviso le loro battaglie con ansia, depressione e senso di vuoto? Questi esempi ci ricordano che il successo esteriore, se non accompagnato da una crescita interiore, rischia di trasformarsi in una gabbia dorata.

Nel contesto musicale, questo significa ripensare profondamente il proprio percorso artistico. Non si tratta solo di raggiungere determinati obiettivi professionali, ma di chiedersi quanto questi traguardi contribuiscano effettivamente al nostro benessere emotivo e spirituale. La vera sfida sta nel trovare un equilibrio tra aspirazioni professionali e crescita personale, tra il desiderio di riconoscimento e l’autenticità artistica, tra il successo misurabile e quella sottile, ma profonda, sensazione di essere in armonia con sé stessi.

Forse, il successo più autentico sta proprio nella capacità di mantenere questa consapevolezza lungo il cammino, ricordando che ogni nota suonata, ogni canzone scritta, ogni performance realizzata dovrebbe prima di tutto risuonare con la nostra verità interiore. Solo così il viaggio musicale diventa non solo un percorso verso il successo, ma un cammino di autentica realizzazione personale.

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