Il silenzio: la tela invisibile del suono

All’alba di questo mattino di novembre sono uscito per correre, lasciandomi alle spalle il sonno della città per inoltrarmi nei boschi che la sovrastano. L’aria pungente mi pizzica la pelle delle guance e delle gambe scoperte mentre imbocco un sentiero che si inerpica rapido verso l’alto, regalandomi una vista che si apre come un sipario sul paesaggio sottostante. Osservo lo spettacolo dell’aurora: i primi raggi dorati accarezzano le cime delle montagne, scivolando poi pigri sui tetti delle case e sul lago già attraversato da temerari kitesurfer, fino a illuminare ogni angolo della città sottostante.

La salita si fa sentire nei muscoli. Il ritmo del mio respiro, sempre più intenso, diventa protagonista insieme al sibilo dell’aria che mi sfiora le orecchie, creando una sorta di dialogo musicale primitivo del corpo in movimento. Quando il sentiero si addentra nei boschi più fitti, ogni passo aggiunge uno strato di suono: le foglie secche sotto i miei piedi non solo crepitano come piccoli fuochi d’artificio, ma mi regalano quella sensazione unica di morbida resistenza che solo un tappeto autunnale sa offrire. Ogni tanto qualche roccia che scivola sotto i miei piedi emette il tipico suono granulare da sfregamento che mi sembra di percepire attraverso le ossa fino nei denti.

Nonostante il cronometro che scorre al mio polso e la tabella di allenamento che mi ronza nella mente, qualcosa mi costringe a fermarmi. È una curva del sentiero, esposta su un pendio, che si apre come un balcone naturale sulla valle. Mi concedo una pausa, lasciando che il respiro ritrovi il suo ritmo naturale mentre cerco di assorbire l’energia e la bellezza di ciò che mi circonda.

I suoni attorno a me cominciano a sfumare, come se qualcuno abbassasse lentamente il volume del mondo. Il fragore del fiume in lontananza, il cinguettio solitario di un uccello, il fruscio delle foglie che planano verso terra – tutto diventa un delicato sottofondo. La mia attenzione si sposta verso l’interno: il sussurro del respiro che mi attraversa come una brezza gentile, l’aria che fluisce nel corpo come un fiume sotterraneo. La mente, finalmente libera dal suo abituale chiacchiericcio, si apre a uno spazio di pace cristallina. Il battito del cuore rallenta fino a sincronizzarsi con il pulsare silenzioso della natura che mi circonda, e per alcuni preziosi istanti mi sento parte integrante di questo panorama, come se i confini tra me e il mondo si fossero dissolti.

Quando riprendo la corsa, ho la sensazione che le mie orecchie si siano risvegliate da un lungo sonno. Ogni suono mi raggiunge con una nitidezza sorprendente, come ascoltato per la prima volta. Il mio udito, purificato da quella parentesi di silenzio, coglie sfumature prima invisibili. Quei suoni che prima erano diventati un monotono tappeto sonoro ora si rivelano come intricati mosaici acustici in continua evoluzione. È come se il silenzio avesse lavato non solo i pensieri, ma anche i sensi, permettendomi di percepire il mondo con una freschezza ritrovata.

Oggi voglio raccontarvi di un paradosso che si nasconde nel cuore stesso della musica: il silenzio, quel vuoto apparente che, come ho scoperto questa mattina, può essere più eloquente di mille suoni.

Come musicista, mi sono trovato spesso a riflettere su questa presenza impalpabile che, lungi dall’essere un vuoto, si rivela essere la tela più preziosa sulla quale dipingiamo le nostre note. È lo spazio bianco tra le parole di un libro, è luce che entra da una grande finestra e dà senso allo spazio architettonico. Come produttore e compositore, ho imparato che il silenzio non è semplicemente la mancanza di suono, ma piuttosto un campo fertile di possibilità future, un momento pregno di potenziale musicale.

Questa consapevolezza si fa ancora più profonda quando ci allontaniamo dal frastuono urbano e ci immergiamo nella natura. Qui, il silenzio assume una dimensione quasi sacra. Non è più solo una pausa musicale, ma diventa un atto di rispetto, un modo di porsi in ascolto del mondo naturale che ci circonda. Come ospiti in questo ambiente, il nostro silenzio diventa una forma di reverenza, un modo per sintonizzarci con la complessità naturale che ci circonda.

“Il silenzio è l’elemento nel quale si formano le grandi cose” – Leonard Bernstein.

Nel silenzio scopriamo una ricchezza sonora inaspettata: il fruscio delle foglie, il canto degli uccelli, il mormorio dell’acqua. È un silenzio paradossalmente pieno, ricco di sfumature e significati.

Eppure viviamo in un’epoca allergica al silenzio. L’essere umano contemporaneo sembra soffrire di una sorta di horror vacui acustico: riempiamo ogni spazio sonoro con musica in sottofondo, notifiche digitali, conversazioni superflue, podcast in cuffia mentre camminiamo e radio sempre accesa in auto. È come se il silenzio ci spaventasse, forse perché agisce come uno specchio sonoro che ci costringe a guardarci dentro, a confrontarci con noi stessi, con i nostri pensieri più profondi, con le nostre inquietudini. Il rumore diventa così una coperta di Linus acustica, un modo per sfuggire al confronto con la nostra interiorità e la realtà attorno.

Questo nostro bisogno compulsivo di riempire il silenzio ha conseguenze che si estendono ben oltre la nostra sfera personale. Ad esempio gli eventi musicali all’aperto, sempre più frequenti in contesti naturali, hanno la capacità di modificare gli equilibri sonori degli ecosistemi. Gli animali, che hanno evoluto comportamenti e ritmi vitali in sintonia con i suoni naturali, si trovano a dover fronteggiare un ambiente acustico alterato. I cambiamenti nei loro comportamenti sono evidenti: modifiche nelle abitudini riproduttive, alterazioni dei percorsi migratori, variazioni nei pattern di comunicazione. È come se stessimo sovrapponendo una nuova partitura su una sinfonia naturale millenaria. E proprio come la natura, anche noi umani paghiamo il prezzo di questa cacofonia moderna. La costante immersione nel rumore non solo ci priva della chiarezza mentale che il silenzio può offrire, ma si manifesta in sintomi tangibili: studi epidemiologici hanno dimostrato la correlazione tra rumore con sintomi che vanno dalla stanchezza cronica alla capacità di concentrazione compromessa, dall’aumento dello stress alla diminuzione della qualità del sonno. In questo modo, il nostro rifiuto del silenzio diventa una forma sottile di violenza, tanto verso l’ambiente quanto verso noi stessi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che solo in Europa occidentale si perdano ogni anno oltre un milione di anni di vita sana a causa dell’inquinamento acustico.

Ma il silenzio ha anche un volto più severo, quasi brutale. È quel silenzio assordante che accompagna i momenti più drammatici della vita, quando le parole sembrano cadere nel vuoto e il mondo intorno a noi si cristallizza in un istante senza suono. È un silenzio che non ha bisogno di colonne sonore, che si fa più eloquente di qualsiasi musica, che ci ricorda la nostra fragilità e la potenza delle emozioni umane nella loro forma più pura.

Come musicisti, e come esseri umani, abbiamo il dovere di educarci all’ascolto dei diversi tipi di silenzio. Come un pittore impara a distinguere le infinite sfumature di un colore, così dobbiamo affinare la nostra sensibilità verso le diverse qualità del silenzio: quello contemplativo della natura, quello teso dell’attesa, quello sacro della riflessione, quello drammatico del dolore.

Il silenzio è ecologia, è rispetto, è possibilità. È lo spazio in cui la musica respira, in cui i pensieri prendono forma, in cui la natura parla il suo linguaggio primordiale. In un mondo sempre più rumoroso, riscoprire il valore del silenzio non è solo un atto artistico, ma una necessità spirituale, mentale e ambientalista.

“Il silenzio è l’unico amico che non ti tradirà mai” sussurra Keith Jarrett al suo pianoforte. Nel silenzio troviamo non solo la fonte della musica, ma anche una via per riconnetterci con noi stessi e con il mondo che ci circonda per tornare infine a riascoltare suoni e musica con riscoperta chiarezza.


Riferimenti

  • Battisti, C., et al. (2023). “Changes in bird assemblages following an outdoor music festival: A BACI monitoring from central Italy.” Environmental Pollution.
  • Francis, C.D., Barber, J.R. (2013). “A framework for understanding noise impacts on wildlife: an urgent conservation priority.” Frontiers in Ecology and the Environment.
  • Basner, M., et al. (2014). “Auditory and non-auditory effects of noise on health.” The Lancet, 383(9925), 1325-1332.
  • Münzel, T., et al. (2018). “Environmental Noise and the Cardiovascular System.” Journal of the American College of Cardiology, 71(6), 688-697.
  • John Cage, Silenzio, 1961 Feltrinelli

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